NINO CROCIANI

Pittore Incisore

Nino Crociani
Nato a Civitella di Romagna nel 1930.
Dal 1931 al 1958 vive, con la famiglia, a Ferrara, dove, nel 1955, si laurea in giurisprudenza. Comincia a dipingere nel 1958, dopo un soggiorno in Norvegia, affascinato dalla pittura e dalla grafica di Edward Munch.
Dal 1958 al 1962 frequenta corsi di pittura e incisione alla Accademia di Belle arti di Bologna. Nel 1961 tiene la sua prima personale di incisioni, presentata da Gianni Celati, alla Nuova Galleria di via Farini a Bologna. Da allora accompagna l’attività di pittore e incisore a quella di insegnante di diritto negli Istituti Tecnici Commerciali.
Nel 1963, dopo un lungo periodo trascorso a Bologna, si trasferisce a Milano, dove continua ad insegnare diritto e a dipingere. Per lunghi periodi inattivo, nel decennio successivo al 1968, riprende con continuità l’attività artistica alla fine degli anni ’70. Nel 1980 ricomincia ad esporre con una mostra al Centro Attività visive di Ferrara. Nel 1985 lascia l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente alla pittura e all’incisione.
il 28 febbraio 2018 ci ha lasciato


  • Corso San Gottardo 14, Milano, MI, Italia

Lo studio di Nino Crociani è stato mantenuto nello stato lasciato dall'artista. Si possono ammirare le sue opere e viverne l'atmosfera.

TESTI di nino crociani imageTESTI di nino crociani imageTESTI di nino crociani image
La boxe

Il 19 novembre si è inaugurata al Circolo Arci Bellezza, in quella che fu la palestra di boxe in cui Luchino Visconti girò alcune scene di “Rocco e i suoi fratelli” e in cui si svolsero le selezioni per la squadra delle olimpiadi del 1960, si è inaugurata la mostra di incisioni e dipinti di Nino Crociani “La boxe degli anni’50 tra mito e memoria”.

Note per la mostra “La boxe degli anni’50 tra mito e memoria”.
L’idea per queste incisioni mi era venuta qualche anno fa, quando mi ero messo in testa di fare, alla “ricerca del tempo perduto”, una autobiografia per immagini. Poi, un po’ per la difficoltà di far tornare alla memoria le immagini di un tempo ormai troppo lontano, un po’ per un certo senso del ridicolo che mi prendeva a cercare di raccontarmi, ho lasciato perdere. Di quel tentativo, però, mi sono rimaste le incisioni sulla boxe, nelle quali ho cercato di ricreare l’atmosfera degli anni in cui frequentavo, a Ferrara, una palestra di pugilato. Erano gli anni a cavallo fra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 (dal 1949 al 1952 circa). Ormai dimenticato l’entusiasmo dell’immediato dopoguerra, la pace sembrava, almeno a noi giovani, altrettanto cupa quanto la guerra e senza speranze: avevo appena finito il liceo, ero sempre senza una lira e con un futuro quanto mai incerto. Lo squallore del presente e l’angoscia del futuro mi rendevano pigro, inetto ed egoista, In quelle circostanze la palestra diventava un luogo di evasione e, in qualche modo, di affermazione di sè, le uniche cose che condividevo con gli altri suoi frequentatori, emarginati in cerca di riscatto, fra i quali c’era un po’ di tutto: operai, manovali, ladri e sfruttatori. Del resto la palestra era situata in uno dei quartieri più malfamati della città. Comunque ad alimentare la mia passione per la boxe c’erano anche le suggestioni
della letteratura e del cinema. Dai racconti di Jack London (uno, “Il messicano”, mi colpì allora moltissimo) a quelli di Ring Lardner ed Hemingway, a film come “Il grande campione” (Champion) di Mark Robson e “Stasera ho vinto anch’io” (The set up) di Robert Wise, entrambi del 1949. E non c’era “noir” che si rispettasse dove non ci fosse una sequenza girata in una palestra di boxe o durante un incontro. E poi c’era il senso della trasgressione: venivo da una famiglia molto moralista per la quale frequentare una palestra di pugilato era poco meno che frequentare i bordelli;
Ma erano anche gli anni dei grandi miti della boxe. Da undici anni Joe Luis era campione del mondo dei pesi massimi e resisteva agli assalti di Billy Conn e Joe Walcott. Nella più spettacolare delle categorie, i pesi medi, si avvicendavano ai vertici grandissimi pugili: Tony Zale, Rocky Graziano, poi ancora Tony Zale, Marcel Cerdan, Jake La Motta e, infine, il più grande di tutti, Ray Sugar Robinson. A quel tempo la boxe era così popolare che, in occasione dei grandi incontri, ne venivano proiettati i filmati al cinema, in genere assieme allo spettacolo in programma. Correvamo io e i miei amici a vederli appena ce n’era uno, così ho assistito alle grandi battaglie tra Jake La Motta e Dauthuille (altro grande peso medio francese) e tra Jake La Motta e Ray Robinson (l’ultima, di cui ti accludo la foto della fine, anche perché mi è venuto in mente qualcosa a proposito di “Raging Bull”). Oppure ne parlavamo ad un angolo del castello Qualche volta, più di rado perché più vecchio di noi e già impegnato a lavorare per il PCI capitava di incontrare Florestano Vancini (che avrebbe poi diretto “La lunga notte del 43”). Se il discorso cadeva sulla boxe, più informato di noi, raccontava di come Robinson, quando veniva i Europa per un incontro, viaggiasse con non meno di trenta persone al seguito compreso il barbiere personale. Oppure apprendevamo, con un misto di invidia e ammirazione che Marcel Cerdan era l’amante di Edith Piaf.
Certo mitizzavamo molto. In realtà, in gran parte, questi “eroi” erano dei perdenti: quasi tutti finivano suonati o in miseria o tutte e due le cose insieme. Ma credo che fosse proprio questo che ci affascinava.
Dopo il 1952 o il ‘53, cessata del tutto la mia frequenza in palestra, il mio interesse per la boxe si era molto smorzato, senza mai spegnersi del tutto. Continuavo a coltivarlo attraverso il cinema. Nel 56 sia Mark Robson che Robert Wise erano tornati al tema della boxe. L’ultimo, in ordine di tempo, film sulla boxe che ho visto è “Toro scatenato” (Raging bull) di Scorsese. Certo un bellissimo film con una ricostruzione quanto mai fedele degli incontri (di tre almeno avevo visto i filmati all’epoca), tranne che per un particolare non insignificante, frutto forse di inconscia vena di razzismo, e cioè l’immagine che viene data di Robinson. Come puoi vedere dalla fotocopia che ho accluso alla lettera, nella realtà Ray Sugar Robinson era un bellissimo atleta, dal volto integro e dal corpo perfetto, molto diverso dal magro e brutto Nino.

Carta e Ferro
Alla fine degli anni 90 stavo preparando una mostra sui pugili e avevo cominciato ad incidere a punta secca delle grandi lastre di rame e alluminio, ma il risultato non mi soddisfaceva: casualmente, andando a ritirare delle cornici di ferro che avevo ordinato, vidi nel laboratorio del fabbro delle grandi lastre di ferro corroso la cui superficie mi affascinò immediatamente. Sembravano delle grandi acquetinte già pronte da stampare così come erano. Poiché per il fabbro erano inservibili, me le feci dare e da allora iniziai questo dialogo con il ferro corroso che mi servì dapprima a dare più consistenza alle immagini di pugili che stavo incidendo e poi a dare corpo alle immagini che via via mi andavano suggerendo. Il risultato di quel dialogo sono le stampe che vengono ora esposte nelle sale del Museo Messina.
nero che lo interpreta sullo schermo. Comunque “Toro scatenato” è più un film sugli italo-americani che sulla boxe.

2015
Scrivere di sé è un compito piuttosto imbarazzante, il rischio peggiore è quello di dire delle inutili banalità. Comunque, avendo appena oltrepassato la soglia degli ottant’anni e, quindi, ben poco da perdere, vedrò di correre questo rischio, limitando in ogni caso il discorso alle uniche cose che ritengo possa valere la pena di comunicare agli altri e, cioè, quelle che amo o detesto nell’ambito specifico del mio lavoro e, più in generale, come uomo e come cittadino.
Cominciando da ciò che ha più stretta attinenza con la attività di pittore e incisore, ho amato tutte le avanguardie del novecento, gli espressionisti in particolare, e poi, di volta in volta, gli informali, la neofigurazione (Giacometti e Bacon) i neoespressionisti. Non ho amato molto la pop art e ho detestato la transanvanguardia. Detesto i graffitari, la povertà del loro linguaggio e il loro insopportabile conformismo. Amo anche il Giacometti scultore, e, sempre nell’ambito della scultura, tra gli italiani il Marini meno manierista, quello dei ritratti per intenderci, e poi Pino Spagnulo e Nanni Valentini. Per quel che riguarda l’incisione ho amato moltissimo Goya e Picasso, Munch e gli espressionisti, e, tra i contemporanei, Baselitz.
Amo la splendida finzione del cinema e detesto la pochezza figurativa e narrativa delle fiction televisive. Del cinema ho amato la grande stagione dell’espressionismo tedesco (Murnau e Fritz Lang ), il cinema francese dell’epoca del fronte popolare (Carnè e Renoir ); Chaplin e Buster Keaton e quel grande genio del cinema che era Erich von Stroheim. I neorealisti, Rossellini in primo luogo; il cinema noir americano; i grandi Bunuel e Orson Welles, Becker e la nouvelle vague, i giovani arrabbiati inglesi e il nuovo cinema tedesco.
Detesto la tv culi e tette, le telenovelas, grandi fratelli, tronisti e veline, i talk- show urlati e i vari Sgarbi che li popolano. .
Ho sempre amato la letteratura: da ragazzo leggevo di tutto, ma già allora, tra un romanzo di Salgari e uno di Jack London, ho incontrato autori che mi sarebbero divenuti cari in seguito: il Nievo di un frammento delle “Confessioni di un italiano” e il Dostoevskij di “Umiliati e offesi. Se è vero che l’ottocento è il secolo del romanzo, dei classici di quel secolo, ho letto e amato una gran parte .Ma non solo: una lunga galleria di libri e di personaggi che vanno da Riccardo terzo e Don Chisciotte alla Marchesa de Merteuil e Tom Jones e la Marchesa von O, a Jean Sorel e Jean Valjean, alle Illusioni perdute e ai Demoni, ai racconti di Gogol e Tolstoj, Madame Bovary e Bel-Ami, Germinal e il ventre di Parigi, La Nausea e Lo Straniero, 42° Parallelo e i racconti di Hemingway, fino ai libri di Gadda, Pavese, Calvino Sascia e Celati.
Come cittadino rivendico il diritto di essere di parte e non ho alcuna remora a dichiarare che sono decisamente di sinistra: una scelta maturata negli anni successivi alla fine della guerra quando, come molti altri della mia generazione, cresciuti nel culto del duce, ho preso coscienza del grande imbroglio in cui eravamo vissuti durante il fascismo. Una scelta che rivendico di fronte all’indegno spettacolo che questa destra al governo, e il suo leader in particolare, danno di sé. Detesto parimenti il razzismo dei leghisti , il cinismo dei berlusconiani e la tracotanza degli uni e degli altri.
Ma, come cittadino, quel che detesto di più è lo spettacolo di un paese che sembra aver perso ogni memoria del suo recente passato, ogni capacità di indignarsi di fronte al crescente divario fra povertà e ricchezza e di fronte all’arroganza del potere; un paese senza dignità e senza orgoglio, con una irresistibile vocazione al servilismo e alla sudditanza
Potrei aggiungere altro, ma credo di essere già andato oltre lo spazio concessomi e, pertanto, qui si chiude il commento al mio ritratto.

La Marquise de Merteuil ou Choderlos de Laclos
Libro d’artista di Nino Crociani.
Note per la preparazione del libro
Le incisioni che accompagnano le lettere, o parti di lettere, qui raccolte (scelte unicamente tra quelle indirizzate dalla Marchesa di Merteuil al Visconte di Valmont, tranne due) e le annotazioni che seguono non hanno altra pretesa che di essere il modesto omaggio di un lettore dilettante all’autore di un grande libro, la cui lettura continua ad affascinarlo.
Le ragioni della scelta nascono non tanto dalla ovvia considerazione che l’intera vicenda del romanzo ruota intorno al rapporto fra la Marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont, ma dal legittimo sospetto che, in questo confronto, ma non solo, la Marchesa di Merteuil faccia le veci di de Laclos.....
Se per tutta la prima parte del romanzo il rapporto si svolge sul piano di una apparente parità, man mano che il confronto si fa più serrato la superiorità della Marchesa si fa sempre più evidente. La svolta nei rapporti è segnata dalla lettera-manifesto n° 81, che è anche quella che marca la profonda differenza tra i due protagonisti: tra un libertino dominato unicamente dalla vanità e dall’orgoglio e una libertina, il cui libertinaggio, alla resa dei conti, si rivela per quello che realmente è: una radicale forma di libertà che non tollera compromessi e per la difesa della quale la Marchesa è pronta a correre qualunque rischio (“He bien! la guerre” [nota in calce alla lett. 153]).
Vendicatrice del suo sesso (….”née pour venger mon sexe”…, dice di sé orgogliosamente [ lett. 81]), non si fa alcuna remora nel denunciarne impietosamente vizi e difetti, senza che ciò, peraltro, impedisca alla sua intelligenza di rendere omaggio a sensibilità e virtù apparentemente le più lontane dal suo universo. Esemplari a questo proposito le sue considerazioni sulle donne che sanno invecchiare [lett. 113].
Non tanto corruttrice, quanto piuttosto strumento rivelatore della corruttibilità, agisce come una sorta di demiurgo, che trae dai personaggi con cui entra in relazione quello che la pasta di cui sono fatti consente loro di esprimere. Che la piccola Volanges si riveli una fraschetta ingenua ed amorale [lett.38,54,106], la madre di lei stupida e cieca [lett. 63], la moralità del giovane Danceny dubbia, Valmont capace di distruggere anche ciò che sembra essergli più caro, è solo apparentemente imputabile alla sua responsabilità. Talvolta il fardello di questo ruolo si fa troppo pesante e la Marchesa di Merteuil sembra cedere al bisogno di una tregua: i toni delle sue lettere sono meno aspri, anzi di una tenerezza insolita [lett. 131,134].
Ma è una tregua di breve durata. Quando risulta del tutto evidente che Valmont non è all’altezza del gioco ( che ormai non si svolge più sul terreno della complicità negli intrighi, ma su quello della consapevolezza di sé e della scelta del proprio destino), il legame si spezza definitivamente.
La Marchesa di Merteuil, che per tutta la durata del romanzo ha improntato il suo rapporto con Valmont ad una sincerità assoluta e davanti a lui si è messa a nudo come di fronte ad uno specchio, scopre infine che lo specchio è infedele e le rimanda una immagine meschina [lett.152]. Valmont non merita più la considerazione di cui finora è stato oggetto, e l’unica menzogna che gli viene riservata è ampiamente giustificata [lett.145].
A rimarcare l’abisso anche “morale” che si è creato fra loro è il tono delle ultime lettere che i due protagonisti si scambiano. A mano a mano che l’atteggiamento di Valmont diventa sempre più meschino e, infine, ricattatorio, più lucida e impietosa si fa l’analisi della Marchesa di Merteuil [lett.141,145,152] e le sue risposte, di una esemplare concisione, trovano degna conclusione nello sferzante sarcasmo dell'ultima lettera [lett.159]……
Poiché non era mia intenzione avventurarmi su di un terreno che non mi appartiene (ma semplicemente testimoniare quanta seduzione un grande personaggio può esercitare su di un lettore, dilettante appunto) qui finiscono le mie annotazioni e lascio alla Marchesa il compito di tracciare da sé, e infinitamente meglio di un modesto interprete, il proprio ritratto.
Il libro è diviso in 21 fascicoli ciascuno dei quali contiene, in un foglio separato, una lettera ; il fascicolo è composta da 4 pagine:
  • La prima pagina riporta il riferimento numerico alla lettera del romanzo e, in alto a sinistra, una piccola incisione (cm 6x4) tratta dalle illustrazioni della edizione ginevrina del 1792 o della edizione londinese del 1796.
  • La terza pagina contiene l’incisione (cm 19x24) che accompagna la lettera. Le incisioni sono ispirate a ritratti di Choderlos de Laclos o a opere di autori del 700 (Fragonard, Boucher e altri).
La presentazione del libro avverrà all’interno del Museo Messina a cura di Maria Fratelli in occasione della rassegna Book City sabato 24 ottobre 2015 alle ore 18.
Le 42 matrici sono incise a puntasecca, acquaforte e acquatinta lastre di zinco, rame o ferro.
Il libro del formato di cm 33x 39,5 è stampato su carta Hahnemuhle.
Le incisioni che accompagnano le lettere, o parti di lettere, qui raccolte, scelte, tranne due, tra quelle indirizzate dalla Marchesa di Merteuil al Visconte di Valmont, e le annotazioni che seguono non hanno altra pretesa che di essere il modesto omaggio di un lettore dilettante all’autore di un grande libro, la cui lettura continua ad affascinarlo.
Le ragioni della scelta nascono non tanto dalla ovvia considerazione che l’intera vicenda del romanzo ruota intorno al rapporto fra la Marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont, ma dal legittimo sospetto che, in questo confronto, ma non solo, la Marchesa di Merteuil faccia le veci di de Laclos
Se per tutta la prima parte del romanzo il rapporto si svolge sul piano di una apparente parità, man mano che il confronto si fa più serrato la superiorità della Marchesa si fa sempre più evidente. La svolta nei rapporti è segnata dalla lettera-manifesto n° 81, che è anche quella che marca la profonda differenza tra i due protagonisti: tra un libertino dominato unicamente dalla vanità e dall’orgoglio e una libertina, il cui libertinaggio, alla resa dei conti, si rivela per quello che realmente è: una radicale forma di libertà che non tollera compromessi e per la difesa della quale la Marchesa è pronta a correre qualunque rischio (“He bien! la guerre” [nota in calce alla lett. 153]).
Vendicatrice del suo sesso (….”née pour venger mon sexe”…, dice di sé orgogliosamente [ lett. 81]), non si fa alcuna remora nel denunciarne impietosamente vizi e difetti, senza che ciò, peraltro, impedisca alla sua intelligenza di rendere omaggio a sensibilità e virtù apparentemente le più lontane dal suo universo. Esemplari a questo proposito le sue considerazioni sulle donne che sanno invecchiare [lett. 113].
Non tanto corruttrice, quanto piuttosto strumento rivelatore della corruttibilità, agisce come una sorta di demiurgo, che trae dai personaggi con cui entra in relazione quello che la pasta di cui sono fatti consente loro di esprimere. Che la piccola Volanges si riveli una fraschetta ingenua ed amorale [lett.38,54,106], la madre di lei stupida e cieca [lett. 63], la moralità del giovane Danceny dubbia, Valmont capace di distruggere anche ciò che sembra essergli più caro, è solo apparentemente imputabile alla sua responsabilità. Talvolta il fardello di questo ruolo si fa troppo pesante e la Marchesa di Merteuil sembra cedere al bisogno di una tregua: i toni delle sue lettere sono meno aspri, anzi di una tenerezza insolita [lett. 131,134].
Ma è una tregua di breve durata. Quando risulta del tutto evidente che Valmont non è all’altezza del gioco (che ormai non si svolge più sul terreno della complicità negli intrighi, ma su quello della consapevolezza di sé e della scelta del proprio destino), il legame si spezza definitivamente.
La Marchesa di Merteuil, che per tutta la durata del romanzo ha improntato il suo rapporto con Valmont ad una sincerità assoluta e davanti a lui si è messa a nudo come di fronte ad uno specchio, scopre infine che lo specchio è infedele e le rimanda una immagine meschina [lett.152]. Valmont non merita più la considerazione di cui finora è stato oggetto, e l’unica menzogna che gli viene riservata è ampiamente giustificata [lett.145].
A rimarcare l’abisso anche “morale” che si è creato fra loro è il tono delle ultime lettere che i due protagonisti si scambiano. A mano a mano che l’atteggiamento di Valmont diventa sempre più meschino e, infine, ricattatorio, più lucida e impietosa si fa l’analisi della Marchesa di Merteuil [lett.141,145,152] e le sue risposte, di una esemplare concisione, trovano degna conclusione nello sferzante sarcasmo dell'ultima lettera [lett.159]
Poiché non era mia intenzione avventurarmi su di un terreno che non mi appartiene (ma semplicemente testimoniare quanta seduzione un grande personaggio può esercitare su di un lettore, dilettante appunto) qui finiscono le mie annotazioni e lascio alla Marchesa il compito di tracciare da sé, e infinitamente meglio di un modesto interprete, il proprio ritratto.



Nota di Gualtiero Schoeneneberger per Radio Monteceneri
Personale di Nino Crociani a Lugano 1966
Pittura della solitudine, dell’uomo nella folla e dell’impossibilità di allacciare rapporti che non siano basati sull’aggressività e il dolore, è stata definita quella di Nino Crociani, forlinese trentaseienne, laureatosi in giurisprudenza e poi formatosi all’Accademia di Belle Arti, a Bologna, e oggi attivo e residente a Milano.
La difficoltà, per Crociani, di approdare alla pittura, la scabrosità, gli scompensi evidenti del suo discorso, a livello formale, più che di un “handicap” a livello espressivo ci parlano di un’autentica necessità morale di resistere alla massificazione nella vita d’oggi. E questa estrema diffidenza nel servirsi di strumenti formali magari già sospetti si traduce in una maniera composita di concepire il quadro il quale ha sì, una chiara radice espressionistica nordica, tedesco-austriaca, ma anche baconiana o, nelle confluenze dei risultati e in una certa tristezza crudele, spagnola, ma poi irrigidisce il suo rabbioso, e dolorante scatto iniziale in una sorvegliata ripartizione delle forme in spazi o in ritmi grafici.
E’ ovvio, allora, che i risultati siano, per Crociani, più raggiunti nelle incisioni (anche solo per il fatto delle dimensioni più ridotte), dove fra significato e segno, l’accordo si compie in modo spesso insolitamente convincente, mentre nei grandi quadri (più interessanti contenutisticamente) il bisogno di dire troppo e la presenza di ricordi non ancora digeriti e rielaborati, creano squilibri cui raramente rimedia l’efficacia di certi particolari:
- il parallelismo, per esempio, fra sollecitazione erotica a braccia afferranti una sbarra di sostegno nel tema ricorrente della folla nei tram. Il colore, che il pittore sembra vicino ad aver piegato alle sue necessità, viene anche usato nella cruda fisicità della sbavatura, ma altre volte tende ancora ad essere puramente un fatto indicativo.
Giairo Daghini ha avvicinato il pittore, ieri sera, durante la vernice interrogandolo sulla esperienza di artista e il suo mondo.

Nella sala del Grechetto della biblioteca Sormani, Comunicato stampa
Nino Crociani presenta il suo libro d'artista “La Marquise de Merteuil ou Choderlos de Laclos” con incisioni a commento di lettere tratte dal romanzo epistolare "Le Relazioni pericolose" di C. De Laclos.
Presentazione di Maria Fratelli.
Maddalena Giovannelli e Corado Rovida leggono alcuni brani di lettere tratte dal testo.
Il libro è stato realizzato con la collaborazione di Daniela Lorenzi.
Le opere resteranno nello "Spazio Espositivo" fino al 2 /12
Prosegue l’esposizione del libro d'artista di Nino Crociani “La Marquise de Merteuil ou Choderlos de Laclos” con incisioni a commento di lettere tratte dal romanzo epistolare "Le Relazioni pericolose" di C. De Laclos.
Il libro è stato realizzato con la collaborazione di Daniela Lorenzi.
Le opere resteranno nello "Spazio Espositivo" fino al 2 /12

Carta e Ferro Museo Messina Maria Fratelli
Le carte di Nino Crociani in mostra presso lo Studio Museo Francesco Messina confermano il ruolo assunto da questo Istituto quale laboratorio dedicato all’arte contemporanea. Si tratta di incisioni realizzate a partire da una serie di ferri corrosi dal tempo. Il metallo è quindi il protagonista di questa esposizione, filo conduttore, silenzioso ma altamente espressivo, che dall’attività di Crociani riconduce alle opere in bronzo di Francesco Messina.
Il ferro, che notoriamente possiede una garanzia di durata, tradisce in queste lastre una specifica sensibilità di superficie, rivelando la capacità di accogliere e immortalare, con lentezza e mutevolezza, quanto di più difficile ci sia da fermare: il tempo della durata. Le corrosioni, le imperfezioni e i graffi che hanno progressivamente modificato la materia, sono indagati e ripercorsi da Crociani con sguardo attento, alla ricerca di un punto di accesso per il proprio segno. L’incisore li segue come tracce primigenie del disegno, elementi accidentali da connettere, unire e condurre all’evidenza in un processo espressivo che è al contempo rivelazione. Con questo fine Crociani sceglie e ricerca i propri temi e i propri soggetti e il dialogo con i ferri corrosi non è accidentale ma, come precisa lui stesso, necessario per conferire una maggiore “consistenza alle immagini di pugili che stavo incidendo e poi a dare corpo alle immagini che via via mi andavano suggerendo”.
Si tratta, pertanto, di un processo maieutico, da intendersi quale criterio di ricerca di una verità che l’artista scopre, di volta in volta, in sé stesso, nella propria anima.
È pur vero, d’altronde, che si trova ciò che si cerca e Crociani ricerca nella materia i suoi amici più cari: i pugili, le modelle, i volti, i temi ricorrenti di un lungo percorso artistico nell’ambito della figurazione.
Carta e ferro esemplificano quindi, letteralmente, una serie di processi creativi di trasformazione della materia, di passaggi dall’astrazione alla figurazione (le Sindoni laiche di cui scrive in questo libro Angela Madesani), dalla memoria alla ricerca instancabile di nuove suggestioni.
Quello che contraddistingue l’operato artistico di Nino Crociani è l’incessante studio della storia dell’arte, la rivisitazione di maestri antichi e contemporanei da cui trarre aggiornamento continuo. Il corpo umano è per Crociani, non un soggetto fine a sé stesso ma un pretesto narrativo per raccontare storie personali che diventano sociali: contesti, memorie, costrizioni, intenzioni, rivoluzioni. La sua è sempre stata un’arte impegnata, attenta ai temi scottati della contemporaneità: una ricerca dentro la condizione umana, sociale e politica del proprio tempo, finalizzata ad una restituzione etica, morale e, soprattutto, politica.
Ogni rappresentazione assume, per Crociani, il valore e la volontà di una dichiarazione, la necessaria presa di posizione davanti alle sollecitazioni della storia. Dalle istanze rivoluzionarie degli anni Settanta, che lo hanno visto in prima fila quale artista e attivista politico, fedele ad un’idea dell’arte quale strumento di rivoluzione intellettuale
Crociani non si è mai arreso: nel confronto con la materia ha continuato a cercare la vita e la bellezza anche quando la rivendicazione e la denuncia prendevano il sopravvento, ha dato voce alle atrocità delle dittature, ha denunciato violenze e prevaricazioni ma, sempre, al contempo, nell’intenzione di cui l’arte è massima espressione, ovvero per dar forma alla speranza.
I temi della denuncia e del riscatto si ritrovano nei suoi pugili, conosciuti nella Ferrara del dopoguerra quali eroi popolari alla ricerca della propria affermazione, nelle modelle amate e rispettate nella loro fisicità e nella singolarità delle loro storie di vita, negli eroi del cinema e dell’arte, studiati e indagati con acuta introspezione per rivelarne l’essenza psicologica e il valore morale.
Denuncia e riscatto si trovano anche nei personaggi tratti dai suoi libri preferiti, nei protagonisti dei romanzi della grande letteratura, vissuti come amici di vita, alleati, infami, traditori, fragili, eroici, ammirevoli, perduti, sublimi.
Di questa ricca e molteplice cultura ha sostanziato ogni singola carta incisa, ogni tratto di matita e carboncino, ogni grande murale di strada, ogni installazione, ogni attività di piazza. Di questo sapere coltissimo e artigianale a un tempo – quando davanti al torchio diventa maestro stampatore e demiurgo - sono impregnate le sue opere: di una raffinata e incessante cultura visiva e letteraria si è nutrita tutta la sua esperienza di artista e di uomo. Questa mostra spetta quindi a Crociani come dovuto omaggio alla sua carriera.

L’essenza della forma
Note su alcuni lavori di Nino Crociani di Angela Madesani

Nino Crociani è un artista che si pone aldilà di facili collocazioni, di gruppi, movimenti. La sua ricerca, iniziata negli anni Sessanta, è segnata dalla storia dell’arte che ha studiato, metabolizzato, che ha fatto sua, Rembrandt, Goya, Edvard Munch, che ha scoperto durante un lungo viaggio di formazione in Norvegia, i Fauves, gli Espressionisti tedeschi, Max Beckmann in particolare. Il suo è un operare autonomo rispetto alle contingenze storiche di un’attualità1 che gli appartiene solo da un punto di vista esistenziale. Ci troviamo di fronte a uno sperimentatore, a un appassionato studioso del linguaggio che utilizza principalmente, l’incisione2. È possibile in tal senso cogliere un filo rosso, un sentiero comune che attraversa le sue opere nel corso degli anni. La mostra che questo testo accompagna propone lavori realizzati negli ultimi dieci anni, ma non si tratta certo di un’antologica di opere recenti, quanto piuttosto della costruzione, da parte dell’artista, di un dialogo serrato tra i diversi lavori. I volti (), che costituiscono il cuore della mostra che andiamo qui a presentare, nascono dall’ascolto della materia. Lastre arrugginite, trovate casualmente nella bottega di un fabbro, nel momento in cui Crociani è impegnato in uno dei suoi lavori più riusciti, quello su I pugili3. Le lastre gli suggeriscono delle presenze, delle tracce, sindoni laiche.
Alcune le ha stampate così com’erano, foriere dei segni del tempo, delle erosioni, delle consunzioni e costituiscono parti di dittici4. In altre ha apposto il suo segno, ha tirato fuori dei volti compiendo una vera e propria operazione maieutica: la materia ha già in sé quanto l’artista riesce a cavare. Il risultato sono delle grandi teste asessuate, che paiono richiamare certo Giacometti. È un segno fortemente esistenziale, che si pone in un momento particolare del percorso di Crociani. Sono lavori fatti da un artista ottantenne, opere della maturità, in cui l’aspetto di riflessione, di pensiero sul senso del lavoro, è portante. In essi è una tensione all’essenza, è la volontà di asciugare, di giungere al grado zero dei fenomeni. Vecchiaia, maturità che per alcuni artisti, fra i quali il nostro Crociani, non è momento di declino, anzi, mi pare che questi siano tra i suoi lavori più profondi, più densi.
Se in tutti i lavori di Crociani riusciamo a cogliere una trama, qui la faccenda è diversa. È come se con I volti fosse uscito da un ambito narrativo5 per giungere alla purezza del segno e della forma riassumendo, con semplicità poetica, la complessità del suo lungo quanto sapiente percorso artistico (ha collaborato Francesca Leardi).



 
  • Solo durante gli anni Settanta Crociani, coinvolto dall’impegno politico, ha abbandonato, temporaneamente, la pittura per dedicarsi a linguaggi fortemente legati a quel momento: installazioni, manifesti di soggetto politico.
  • Anche se una gran parte dei lavori di incisione erano di preparazione alla pittura, poi sono rimasti solo dei progetti
  • I lavori sui pugili risalgono alla fine degli anni ’90, sono stati realizzati tra il 1998 e il 2000. La prima esposizione di quel lavoro comprendeva sole stampe insieme a una cartella di piccole incisioni con teste di pugili, oggi qui in mostra, nello Studio di Francesco Messina, al primo piano. Gli unici due protagonisti riconoscibili sono Willie Pep e Rocky Marciano.
  • La seconda parte del dittico di forma rettangolare allungata, è costituita da un incisione con un corpo nudo. 5 Crociani continua ad ispirarsi alla letteratura, alla narrazione per la sua ricerca, alla quale attende ogni giorno.

Principali mostre personali
2019     Il Sonno della ragione genera mostri Casa della memoria, Milano
2016    Ferro e carta. Museo Francesco Messina, Milano
2014    50 anni di nudo. Arci Bellezza
2013   La boxe degli anni ’50 tra mito e memoria. Arci Bellezza Milano
2012   Incontri, Oratorio dell’immacolata Concezione Castelletto Ticino
2012   Pugili, attori, modelle spazio industriale Milano
2011   La Marquise de Merteuil ou Choderlos de Laclos. Libro d’artista Sala comunale Berceto
2009   Un libro d’artista in biblioteca. Biblioteca Sormani Milano        
2009   La Marquise de Merteuil ou Choderlos de Laclos. Auditorium di Milano
2005   Il mito del corpo, il corpo dei miti. Galleria Magenta Vimercate
2001   Il corpo come paesaggio, Facultade Santa Marcelina, San Paolo, Brasile
2000   Pugili Galleria Venti Correnti Milano
1993   Disegni e incisioni 1958-1993, Palazzo Massari, Padiglione d’Arte Contemporanea, Ferrara
1990   Studio Di Gennaro, Milano
1980   Glynn Vivian Art Gallery, Swansea UK
1980   Centro Attività Visive, Ferrara
1975   Galleria Boccioni, Milano
1974   Galleria di P.ta Ticinese (Intervento alla Mostra Incessante per il Cile) Milano
1973   Studio Soldano, Milano
1970   Galleria Ghelfi, Verona
1967   Galleria L’Agrifoglio, Milano
1966   Galleria Cetica, Lugano
1965   Galleria Schindler, Berna
            Circolo culturale A. Gramsci, Pesaro
1964   Galleria La Colomba, Bologna
1963   Libreria internazionale Terzo Mondo, Roma 
1962   Sala Comunale della Cultura, Modena            
            Nuova Galleria, Bologna
1961   Nuova Galleria di via Farini, Bologna
           Galleria Il Bulino, Ferrara
Mostre personali imageMostre personali image
Principali mostre collettive
2015   Eros nel chiostro Palazzo delle Stelline, Milano
2013   1966-1976 Milano e gli anni della grande speranza Università Bocconi, Milano
2009   L’Arte e il torchio 2009. Centro Culturale S. Maria della Pietà, Cremona
2008   L’inchiostro nel segno. Casa Frabboni, S. Pietro in Casale, Bologna
2007   10 anni di Segni. Galleria L’Ariete Arte contemporanea, Bologna
2006   Segni d’arte. Istituto D’Arte Dosso Dossi Ferrara con AIER
2005   Incidere ad arte – Giorgio Upiglio stampatore a Milano Museo cantonale d’arte, Lugano Svizzera
2005   La Soglia Circolo S. Erardo, Bressanone
2005   Sogni veri & Sogni falsi Comune di Pianoro, Bologna
2003   “Cidades” Grafica dez, Interstudio graphic, Atelier Quattordici Galleria Graphias-Casa da gravura, San             Paolo Brasile
2002   The twelth space International Print biennial, Seul  Corea
2002   I Biennale di Gravura Edizioni Atelier Quattordici–Grafica Upiglio 22250,
2001   Edizioni Atelier Quattordici–Grafica Upiglio 22250, Galleria Gravura Brasileira, San Paolo Brasile
2001   Edizioni Atelier Quattordici–Grafica Upiglio 22250, Pinacoteca Benito Calixto, Santos S.P. Brasile
          Edizione “20x20” Edizioni Atelier Quattordici–Grafica Upiglio 22250, Centro Arte Contemporanea                  Venti Correnti, Milano
1999   German International Exibition of graphic Art, Frechen Germania
1999   The Fourth Kochi International Triennial Exibution of Print, Kochi Giappone
1998   38° Premio Suzzara I Premio ex equo
1994   Settima Triennale dell’Incisione – Museo della Permanente, Milano
1990   Custodi dell’Arte, Galleria Bianca Pilat, Milano
1989   Piccolo Formato in Mostra, Progetto Garibaldi, Milano 
1977   Mostra Incessante per il Cile, Rotonda della Befana, Milano
1976   Biennale di Venezia, sezione interventi sul sociale (con il Collettivo Autonomo Pittori di
          Porta Ticinese)
1974   Illustrazioni dal “Furioso”, Centro Attività Visive, Ferrara
          Italienische Realisten 1945 bis 1974, Berlino
1970   Cooperativa Fornaciai, Bologna
1968   Biennale della Grafica, Cracovia
1974   Biennale della Grafica, Parigi
1965   La Domanda e l’Offerta, Galleria Pagani del Grattacielo, Milano
1965   Galleria Due Mondi, Roma
1964   Premio G. Scalarini, Reggio Emilia
           Premio S. Ilario d’Enza- III premio
1963   Premio Città d Recanati. II premio
1962   Giovani artisti italiani nel bianco e nero, Galleria de’ Foscherari, Bologna
          Mostra del Cinquantenario, Circolo di Cultura, Bologna
          XXXII Biennale di Verona
Premio Copparo. I premio
Mostra di grafica internazionale Galleria il Collezionista, Bologna
Mostre Collettive image
Bibliografia:
 
Gianni Celati, presentazione della mostra alla Nuova Galleria di Via Farini, Bologna, 1961
Franco Solmi, presentazione della mostra alla Galleria La Colomba, Bologna, 1964
Aurelio Natali, presentazione della mostra alla Galleria Cetica, Lugano 1966
Gualtierto Schonenberger, nota alla mostra di Lugano, Radio Monteceneri, 1966
Carlo Bassi, presentazione della mostra al Portnoy Caffè letterario, Milano 1987
Gianni Celati, Francesco Gallo, presentazione della mostra al Padiglione d’Arte Contemporanea, Ferrara, 1993
Informazioni image
La Marquise de Merteuil ou Choderlos de Laclos
Libro d’artista di Nino Crociani.

Il libro è diviso in 21 fascicoli ciascuno dei quali contiene, in un foglio separato, una lettera; il fascicolo è composta da 4 pagine:
  • La prima pagina riporta il riferimento numerico alla lettera del romanzo e, in alto a sinistra, una piccola incisione (cm 6x4) tratta dalle illustrazioni della edizione ginevrina del 1792 o della edizione londinese del 1796.
  • La terza pagina contiene l’incisione (cm 19x24) che accompagna la lettera. Le incisioni sono ispirate a ritratti di Choderlos de Laclos o a opere di autori del 700 (Fragonard, Boucher e altri).
Le 42 matrici sono incise a puntasecca, acquaforte e acquatinta lastre di zinco, rame o ferro.
Il libro del formato di cm 33x 39,5 è stampato su carta Hahnemuhle.
Le incisioni che accompagnano le lettere, o parti di lettere, qui raccolte, scelte, tranne due, tra quelle indirizzate dalla Marchesa di Merteuil al Visconte di Valmont, e le annotazioni che seguono non hanno altra pretesa che di essere il modesto omaggio di un lettore dilettante all’autore di un grande libro, la cui lettura continua ad affascinarlo.
Le ragioni della scelta nascono non tanto dalla ovvia considerazione che l’intera vicenda del romanzo ruota intorno al rapporto fra la Marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont, ma dal legittimo sospetto che, in questo confronto, ma non solo, la Marchesa di Merteuil faccia le veci di de Laclos
Se per tutta la prima parte del romanzo il rapporto si svolge sul piano di una apparente parità, man mano che il confronto si fa più serrato la superiorità della Marchesa si fa sempre più evidente. La svolta nei rapporti è segnata dalla lettera-manifesto n° 81, che è anche quella che marca la profonda differenza tra i due protagonisti: tra un libertino dominato unicamente dalla vanità e dall’orgoglio e una libertina, il cui libertinaggio, alla resa dei conti, si rivela per quello che realmente è: una radicale forma di libertà che non tollera compromessi e per la difesa della quale la Marchesa è pronta a correre qualunque rischio (“He bien! la guerre” [nota in calce alla lett. 153]).
Vendicatrice del suo sesso (….”née pour venger mon sexe”…, dice di sé orgogliosamente [ lett. 81]), non si fa alcuna remora nel denunciarne impietosamente vizi e difetti, senza che ciò, peraltro, impedisca alla sua intelligenza di rendere omaggio a sensibilità e virtù apparentemente le più lontane dal suo universo. Esemplari a questo proposito le sue considerazioni sulle donne che sanno invecchiare [lett. 113].
Non tanto corruttrice, quanto piuttosto strumento rivelatore della corruttibilità, agisce come una sorta di demiurgo, che trae dai personaggi con cui entra in relazione quello che la pasta di cui sono fatti consente loro di esprimere. Che la piccola Volanges si riveli una fraschetta ingenua ed amorale [lett.38,54,106], la madre di lei stupida e cieca [lett. 63], la moralità del giovane Danceny dubbia, Valmont capace di distruggere anche ciò che sembra essergli più caro, è solo apparentemente imputabile alla sua responsabilità. Talvolta il fardello di questo ruolo si fa troppo pesante e la Marchesa di Merteuil sembra cedere al bisogno di una tregua: i toni delle sue lettere sono meno aspri, anzi di una tenerezza insolita [lett. 131,134].
Ma è una tregua di breve durata. Quando risulta del tutto evidente che Valmont non è all’altezza del gioco (che ormai non si svolge più sul terreno della complicità negli intrighi, ma su quello della consapevolezza di sé e della scelta del proprio destino), il legame si spezza definitivamente.
La Marchesa di Merteuil, che per tutta la durata del romanzo ha improntato il suo rapporto con Valmont ad una sincerità assoluta e davanti a lui si è messa a nudo come di fronte ad uno specchio, scopre infine che lo specchio è infedele e le rimanda una immagine meschina [lett.152]. Valmont non merita più la considerazione di cui finora è stato oggetto, e l’unica menzogna che gli viene riservata è ampiamente giustificata [lett.145].
A rimarcare l’abisso anche “morale” che si è creato fra loro è il tono delle ultime lettere che i due protagonisti si scambiano. A mano a mano che l’atteggiamento di Valmont diventa sempre più meschino e, infine, ricattatorio, più lucida e impietosa si fa l’analisi della Marchesa di Merteuil [lett.141,145,152] e le sue risposte, di una esemplare concisione, trovano degna conclusione nello sferzante sarcasmo dell'ultima lettera [lett.159]
Poiché non era mia intenzione avventurarmi su di un terreno che non mi appartiene (ma semplicemente testimoniare quanta seduzione un grande personaggio può esercitare su di un lettore, dilettante appunto) qui finiscono le mie annotazioni e lascio alla Marchesa il compito di tracciare da sé, e infinitamente meglio di un modesto interprete, il proprio ritratto.
La presentazione del libro avverrà all’interno del Museo Messina in occasione della rassegna Book City sabato 24 ottobre alle ore 18.
Progetti image
  • Inserito nel "Catalogo del patrimonio culturale della regione Emilia-Romagna"-
https://bbcc.regione.emilia-romagna.it/pater/loadcard.do?id_card=1038

  • Gentilissimi,
confidando di fare cosa gradita vi segnaliamo che l’opera:
Senza titolo, 1990, collage su tela, cm. 110x100
è presente nella collezione del Museo Magi’900, perché possiate tenerne traccia per i vostri archivi, per la catalogazione generale e per la comunicazione sul vostro sito.
Cordiali saluti
Segreteria Museo Magi’900 - Pieve di Cento (BO)
alleghiamo le immagini delle opere di suo marito presenti al Museo. Oltre al collage indicato nella nostra prima mail, le aggiungo anche i 4 incisioni:
Collage Senza titolo 1990, Incisioni Interno studio1965, Carmen Basilio 1999, Torso 1998, Fraternisation 1961